Eravamo lì, tutti intorno a quel tavolo enorme, in attesa di essere informati circa la nostra destinazione.
In piedi, vicino alla porta, un ragazzo abbastanza alto, i capelli scuri, gli occhiali da vista, si guardava intorno, come se cercasse qualcuno; alla finestra, una ragazza era intenta a mordersi freneticamente il piercing alla bocca.
In un istante ci fu silenzio: il ragazzo con gli occhiali si precipitò al tavolo e prese posto, vicino a me; la ragazza lo seguì.
Nella stanza entrarono le quattro persone che avrebbero deciso del nostro anno.
Subito la mia attenzione si posò sulla più anziana: una donna austera, apparentemente calma, ma sicuramente severa; indossava un vestito blu, con un golfino sulle spalle, ed al collo un filo di perle bianche.
A turno, iniziammo a descriverci, a parlare delle nostre esperienze passate, di cosa sapevamo fare e di quali fossero le nostre prospettive; iniziò così la corsa competitiva alle migliori credenziali, era fondamentale dire di saper fare meglio e più degli altri.
La mia destinazione fu una sede distaccata, un plesso situato in una zona periferica della città.
La struttura aveva le pareti rosa, con dipinti colorati, e porte-finestre che davano su un cortile pieno di alberi e una pianta di arance; a pochi passi cassonetti dell’immondizia rovesciati emanavano un fetido puzzo e rendevano l’aria irrespirabile, accanto un’auto distrutta dai sassi lanciati probabilmente da ragazzini che giocavano lì la sera prima.
Nel cortile, un imponente albero di mimose mi fece subito pensare al profumo che in primavera ci sarebbe stato, e a come fosse strano trovare un’0asi in un deserto come quello.
Messo piede all’interno, la struttura si rilevò alquanto accogliente: cartelloni colorati alle pareti, addobbi per l’inverno, disegni, giochi.
E la meraviglia dei bambini fu enorme: per loro era raro vedere una persona ben vestita, educata, gentile, una persona che chiaramente non era del posto, e l’accoglienza ricevuta non la dimenticherò mai: “Maè, maè, ma le tue scarpe sono Hogàn?aaah, allora sei la maestra più ricca di tutte!”.
Al plesso c’era una sola sezione, la A, dalla prima alla quinta; io fui destinata alla prima, ma bene o male, ho imparato a conoscere tutte e cinque le classi, e non solo le classi.